Questo il mio intervento alla fine della seduta pomeridiana di venerdì scorso, 15 maggio.
Ho ricordato un recente caso che a mio parere ha avuto poca attenzione. Si tratta di una bambina paraguaiana di 10 anni, rimasta incinta dopo essere stata stuprata dal patrigno, che ha rilanciato il dibattito sull’aborto in Paraguay dove la legge non consente l’interruzione della gravidanza se non in caso di pericolo per la vita della madre e del bambino. Il ministro della Salute Antonio Barrios lo ha messo in chiaro: in questo caso i presupposti non ci sono.
È importante che la bambina abbia accesso a tutte le informazioni e servizi medici possibili per affrontare la gravidanza ad alto rischio e il risultato di una violenza, incluso l’opzione di un’interruzione volontaria della gravidanza. Alla campagna lanciata da Amnesty si sono aggiunte altre iniziative per chiedere la depenalizzazione dell’aborto in caso di gravidanza da stupro o incesto, ma anche per denunciare il modo in cui le autorità hanno affrontato il caso specifico. Secondo i dati del Fondo dei popoli delle Nazioni unite in Paraguay il 2,13% delle morti materne si riferiscono a bimbe tra i 10 e 14 anni: ribadisco che l’aborto è permesso solo quando la vita di una donna o bambina incinta è in pericolo. In qualsiasi altra circostanza, incluso la gravidanza conseguente a violenze o incesto o anche qualora il feto dovesse presentare gravi malformazioni, l’aborto non è permesso. Questa restrizione è contraria al diritto internazionale dei diritti umani. Chiederò un incontro all’ambasciatore del Paraguay per discutere sulla situazione attuale del paese e monitorare il caso per garantire alla bambina tutte le opzioni per assicurare la sua vita e la sua salute.